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Venti anni fa la scomparsa Marco Pantani, il ricordo dei suoi ultimi scatti in Formazza.

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Venti anni fa, in un residence di Rimini, che oggi non c’è nemmeno più, venne trovato senza vita Marco Pantani, il Pirata; uno dei più grandi campioni del ciclismo, un eroe di quelli che si dice ‘muoiono sempre giovani’. I suoi trionfi fino a quel he successe a Madonna di Campiglio, momento che aprì un vortice di situazioni che lo portò a quel giorno del 2004. Pantani dopo alcune annate di qualche alto e tanti bassi, tornò su discreti livelli nel 2003, un anno prima di andarsene. Pantani che aveva parecchi legami col nostro territorio: il rapporto con la sua manager, la verbanese Manuela Ronchi ma soprattutto i suoi ultimi scatti da corridore, nella tappa della Cascata del Toce. Qui riportiamo per intero il capitolo del libro ‘Quando il Giro…’, scritto da Gianluca Trentini, che racconta quel giorno in Val Formazza, giornata vissuta personalmente dal gornalista.

<Chiedo venia se questo capitolo sarà più che altro un raccontare un evento attraverso troppi ricordi personali, se ci sarà uno smodato uso della prima persona singolare. Non so più chi professava riguardo il mestiere del cronista il teorema ‘emoziònati per emozionare’, secondo il quale chi racconta un evento provando passione ed emozione risulta provocare le stesse sensazioni in chi legge o guarda. Raccontiamo qui però un momento che può portare a giudizi nei confronti di vari protagonisti di allora ma noi non lo faremo: “Un buon giornalista racconta quello che succede senza giudicare, deve vedere, capire, interpretare e raccontarlo ma il mestiere del giudice è un altro”, diceva Gianni Minà. C’è stato un campione tormentato, morto giovane come quasi tutti gli ‘eroi maledetti’ dello sport e non solo, che più di tutti ha spostato masse negli anni 90; un romagnolo venuto su a biciclette e ‘pida’ (che poi sarebbe la piadina detta come si dice in Riviera Romagnola); Marco Pantani, il ‘Pirata’. La storia è quella del 30 maggio del 2003, lo scatto di Pantani verso la Cascata del Toce, quando nessuno poteva lontanamente immaginare che quello sarebbe stato l’ultimo attacco della sua parabola di atleta. Pura iconografia, termine abusato ma pertinente. Pantani che, peraltro, aveva rapporti intensi con la zona, visto che la sua manager personale era Manuela Ronchi, verbanese e figura di livello eccelso nel campo del marketing e della comunicazione. Dopo l’esplosione del 1994, dopo le sfortune del 95, 96 e 97 tra cadute e ritiri, era già stato consegnato alla storia delle cose ciclistiche il 1998 con Marco che vinse il Giro d’Italia recuperando il disavanzo sullo svizzero Alex Zulle che lo aveva obiettivamente bastonato nella crono di Trieste salvo poi scomparire in salita; prese la maglia rosa a Selva di Valgardena e respinse i colpi del russo Pavel Tonkov, spalleggiato dalla Mapei, tra Alpe di Pampeago, Plan di Montecampione dove vinse, e nella cronometro di Lugano, dove chi vi scrive c’era e ricorda qualche illazione in sala stampa riguardo la positività del compagno di squadra del Pirata alla Mercatone Uno Riccardo Forconi. Era passata alla storia l’impresa sul Col du Galibier, sotto il nevischio di luglio, quando il Pantani più grande di sempre si prese la maglia gialla relegando il tedesco Jan Ullrich a 10 minuti e vincendo anche il Tour de France 32 anni dopo il 1965 di Felice Gimondi per una doppietta Giro Tour che sino ad allora era riuscita solo a Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault ed Indurain. Per meglio capire quegli scatti del 2003 però bisogna necessariamente ricordare cosa successe a Madonna di Campiglio la mattina di sabato 5 giugno 1999. In un Giro dominato, con le vittorie di tappa al Gran Sasso ed a Oropa. Leggendaria quella frazione; ebbe un salto di catena, si fermò, restò attardato e riprese tutti i corridori davanti a lui vincendo la tappa. Quel giorno ero lassù inviato per Rvl La Radio ed il Corriere di Novara, al suo arrivo, a bordo strada, scambiai due parole con Gabriele Sola, che allora gestiva l’ufficio stampa della Mapei e con Sergio Meda, capo ufficio stampa di quel Giro: “Va che se scende e risale arriva prima degli ultimi”, gli dissi, tanto vidi gli occhi accesi, spiritati, di Pantani. I due sorrisero. Era però un ragazzo differente, almeno secondo il sottoscritto, rispetto a quello del 1998; più sul ‘chi va la’, più arrogante se vogliamo trovare un certo significato del termine; più sprezzante. Staccò tutti all’Alpe di Pampeago ed il giorno dopo verso Madonna di Campiglio rivinse andando a prendere una fuga di comprimari che non avrebbe dato fastidio a nessuno, quelle fughe che di solito si lasciano andare, soprattutto perché si era alla vigila del tappone dell’Aprica, dove tutti aspettavano il suo gran recital. Alla mattina di quel sabato a Marco Pantani venne rinvenuto un tasso di ematocrito più alto del lecito, dopo un controllo che verificava la densità del sangue degli atleti che in quei tempi veniva ‘ritoccato’ con la eritropoietina o ‘Epo’. Insomma Pantani veniva espulso dal Giro non tanto per una positività al doping (questa poteva al massimo essere una supposizione) bensì perché le regole prevedevano uno stop di un breve periodo per far tornare i livelli sanguigni alla normalità. Insomma pur distrutto da quanto successo Marco avrebbe potuto tornare a correre dopo poco, al Tour o alla Vuelta a Espana e magari vincere. Forse era mancato al suo fianco il vecchio saggio Luciano Pezzi, proprio il Pezzi piazzato a Verbania nella tappa del 52, che morì l’anno precedente e che lo avrebbe consigliato nel migliore dei modi. Paolo Savoldelli, che era secondo in classifica con vari minuti di distacco, rifiutò di indossare la maglia rosa e nella tappa di Aprica fu Ivan Gotti a prenderla ed a vincere il Giro, tra i fischi, comunque immeritati, delle genti. Gotti fece solo il suo e non è giusto che quel Giro che in condizioni normali non avrebbe vinto, gli venga visto come un furto. Si tirarono in ballo, prima o dopo, la camorra, le scommesse, una ripicca della Mapei, squadra che Pantani rifiutò (gli venne offerto un contratto da 5 miliardi in 3 anni) nell’agosto 98 con la quale battibeccò per tutto il Giro (si prese, per esempio, a cattive parole con Andrea Tafi). Dietrologie, misteri, a volte becerismi. Ciò che accade dopo però andò oltre lo sport anche se forse i fatti di Campiglio aiutarono in negativo. Certo che negli avvenimenti del 14 febbraio 2004, quando venne ritrovato cadavere in un anonimo residence di Rimini, qualcosa di poco chiaro c’è. Nel 2000 gli ultimi veri scampoli di Pantani, che già era prigioniero della polvere bianca; fece un buon Giro (e fu importantissimo per il successo del compagno di squadra, il varesino Garzelli) ed al Tour vinse al Mont Ventoux (forse per concessione di Lance Armstrong che lo chiamava ‘elefantino’) ed a Courchevel. Durissime le stagioni 2001 e 2002 con il Pirata ormai ombra di se stesso e lo abbiamo visto raccontando il 2001 di Arona. Eccoci al 2003. Di una tappa del Giro con arrivo nel Vco si parlava da tempo, del resto mancava dal 1992. Si parlava di tornare a Verbania, ce lo confermò l’allora assessore allo sport della giunta Reschigna Angelo Rolla ma i tanti casi di doping nel mondo delle due ruote frenarono il tutto; contatti ne vennero presi in occasione delle due partenze del ‘Trofeo dello Scalatore’, una gara di tre giorni con altrettanti arrivi in salita oggi cancellata, che sia nel 1997 e 1998 propose come seconda e terza frazione due arrivi a Macugnaga e Premeno, entrambe con partenza da Piazza Garibaldi a Verbania, peraltro voci di popolo che probabilmente mai hanno avuto un seguito nelle sedi opportune, parlavano di una volontà di riportare il Giro in Verbania nel 2000. Non se ne farà nulla; forse perché era davvero solo una idea,forse perché i casi di doping che falcidiavano quella stagione delle due ruote non incoraggiarono. In vista del 2003 il vulcanico domese Antonello Trapani ma anche Florido Barale e Marco Della Vedova che era sceso dalla bicicletta lasciando l’agonismo, riuscirono nell’intento di convincere l’allora patron del Giro d’Italia, sempre l’avvocato Carmine Castellano, a portare una tappa in Valle Formazza, con l’arrivo proprio alla Cascata del Toce, vecchio pallino degli appassionati. Si ventilava anche questo da tempo ma non si era mai fatto nulla di concreto. Grande merito lo ebbe anche l’assessore regionale allo sport che era allora Ettore Racchelli, facente parte della giunta di Enzo Ghigo (uomo appassionato di due ruote, che dopo una carriera in Publitalia 80, concessionaria pubblicitaria di Fininvest, scese in politica con il suo capo Silvio Berlusconi nel 94 ed ebbe anche ruoli nella Lega del ciclismo Professionistico). Il tutto nacque dal gruppo della Uc Valdossola, che sin dal 1995 organizzava una ‘Gran Fondo’ amatoriale con traguardo proprio alla Cascata, in località Sottofrua, sopra Formazza. Florido Barale era l’organizzatore della prova, denominata “Gran Fondo El Diablo’, si, proprio quel Claudio Chiappucci che fu protagonista a Verbania nel 92 e che sempre quell’anno si rese protagonista della sua impresa più celebre, l’attacco da lontanissimo che fece vacillare Indurain e che mandò nel pallone Bugno. “A spingere molto fu Antonello Trapani – spiega Florido Barale stesso – perché quando nacque la Gran Fondo, prima El Diablo e poi dedicata ad Adriano De Zan, ci fu subito l’idea di portare il Giro d’Italia alla Cascata. Fu Antonello a portare avanti i contatti politici per avere successo, del resto in quei tempi il Giro nel Vco non è che ci arrivava spesso come adesso; ne parlammo per il 2003; alla fin fine la corsa mancava dalle nostre strade con un arrivo da 11 anni e ci poteva stare”. Così la proposta venne inoltrata al direttore del Giro: “Ed appena parlai all’assessore regionale Ettore Racchelli dell’opportunità di fare arrivare la tappa alla Cascata – dice proprio Antonello Trapani –  lui si mosse e chiamo immediatamente Castellano”. Fu così che il direttore del Giro ebbe modo di valutare e di vedere: “Una domenica mattina ero di ritorno da Losanna dove ero stato per un incontro al CIO – spiega proprio l’avvocato Castellano – pensai di fare il Sempione ed una volta arrivato in Ossola decisi di deviare verso la Cascata anche per farmi una idea della salita che ci avevano proposto. Ero con mia moglie e ricordo che, oltre a trovare dal punto di vista sportivo anche da quello paesaggistico una località molto interessante, passammo anche una giornata gradevole fermandoci per il pranzo in un ristorantino a metà della vallata del Toce. Naturalmente sia la strada che l’arrivo avevano bisogno di qualche lavoro di ripristino e quando ne parlai con i diretti interessati trovai da parte di tutti loro una collaborazione attiva e competente”. Dunque si poteva fare ma servivano degli interventi. Ovvio che un conto era l’arrivo di una affollatissima Gran Fondo amatoriale, un altro era la grande carovana (più flessibile di quella odierna ma pur sempre enorme) del Giro d’Italia; tanti mezzi, tanti camionla necessità di portare velocemente a valle i corridori. Peraltro in quegli anni si parlava anche del Giro del Piemonte, che fece arrivo a Domodossola, partito da Novara, nel 2001 (dopo che l’edizione 2000 non si fece per alluvione), con traguardo in Corso Dissegna, medesimo arrivo del 1985. Fu une edizione clamorosa; era in fuga un gruppetto di attaccanti, il gruppo si disinteressò della fuga e prese in un amen 18 minuti di ritardo. Carmine Castellano, consultati i suoi condirettori Mauro Vegni e Giorgio Albani ed il collegio di giuria, terminata la discesa da Levo decise di fermare tutto il gruppo ed estrometterlo dalla corsa, limitando la gara ai 17 attaccanti. Vincerà il francese Nico Mattan davanti a Fabio Sacchi ed a Mathias Pronk. L’idea pareva quella di avere il ‘Piemonte’ nel territorio in maniera pluriennale ma il tutto si limitò a quella edizione, si parlò di ‘baratto’ per avere il Giro: “Direi di no – chiosa Castellano – nessun legame con il Giro del Piemonte per il quale, é vero, mi era stato richiesto un impegno pluriennale che però mai si era concretizzato in un accordo formale”. Le difficoltà per portare la corsa in Formazza non erano certamente poche: “Ricordo che dovemmo inventare il piazzale di arrivo – rammenta Trapani – asfaltandone una parte, ma ricordo anche che tutte le ‘Pro Loco’ si impegnarono dando il loro contributo. Tutto venne preparato a puntino e questo resta una soddisfazione”. Dopo tante voci, dopo un segreto ormai poco celabile l’ufficializzazione arrivò al Teatro Lirico di Milano nel novembre del 2002, quando venne presentata la corsa: undici anni dopo il 1992, il Giro sarebbe tornato nel Vco e lo avrebbe fatto proprio con l’arrivo alla Cascata del Toce. Il giorno dopo, per la partenza, venne scelta Cannobio, per attraversare tutta la sponda del Lago Maggiore, sino ad Arona, E ci sarebbe stato anche Pantani, sempre con la Mercatone Uno, non più guidata da Beppe Martinelli ma da Marino Amadori, oggi CT della nazionale Under 23. Quel Giro era dominato da Gilberto Simoni, che dopo aver vinto il Giro del 2001 nell’edizione successiva fu cacciato per una positività alla cocaina causata (provato da esami specifici che conclamarono la non tossicodipendenza di ‘Gibo’) da alcune caramelle balsamiche per il mal di gola acquistate in Sudamerica, contenenti piccole quantità di coca, con funzioni di analgesico che gli aveva offerto una zia tornata da un viaggio in Perù. Pantani, che come detto nei due anni precedenti fu sempre più lontano dall’immagine del corridore professionista tra sospetti e processi della giustizia sportiva (fu condannato e poi assolto per la non esistenza del reato per l’epoca, confermando però la fondatezza dell’accusa di uso di sostanze dopanti) e non riuscì più a trovare la serenità necessaria per tornare a correre. Nel 2003 però lo si rivide competitivo su livelli accettabili a quel Giro, soprattutto nella seconda parte. Fu, pur lontano in classifica, quinto al Monte Zoncolan, cadde verso la Valle Varaita ma riuscì a stare coi primi. Siamo a venerdì 30 giugno 2003: terzultima tappa: Canelli – Cascata del Toce di 236 km. Nel Cusio l’ingresso sulle strade del Vco: Omegna, Gravellona, Ornavasso, Pieve, Piedimulera, Villa e Domo le città toccate dalla frazione che dopo oltre 190 km di corsa avrebbe iniziato la scalata alla Formazza attraverso Crodo per raggiungere San Rocco di Premia, dove attaccava la seconda parte dei 18 km e 300 metri di ascesa verso l’arrivo. Una salita non dura ma lunghissima, con pendenza massima al 12% ed una pendenza media al 5%. Venne presto scartata l’idea, una volta raggiunta Crodo in salita, di deviare attraverso Mozzio, Viceno e Cravegna per poi ridiscendere sulla strada statale e continuare la salita verso la Formazza. Nessuno tra appassionati ed addetti ai lavori avrebbe potuto anche solo lontanamente immaginare che stava per avvenire qualcosa di storico; l’ultimo attacco, l’ultimo scatto di questo eroe tormentato. Il ciclismo del Vco aveva un nuovo idolo da tifare. Marco Della Vedova aveva smesso da poco, a fine 2002 disse basta con una bella festa a Domodossola ed in quei giorni fece parte del Comitato di Tappa. C’era Giampaolo Cheula, biondino crodese del 1979, (Paolo Longo Borghini era allora ancora dilettante) passato proprio quell’anno alla Vini Caldirola come coequipier di Stefano Garzelli. Era approdato al professionismo nel 2001 col ‘gruppo giovani’ della Mapei Quick Step (andate a cercare da chi era composto, squadrone futuribile, si direbbe), da dilettante ottenne buoni risultati e da professionista nei primi due anni diede qualche bel colpetto. La corsa peraltro sarebbe transitata di fronte alla sua abitazione ed ovviamente alla notizia della partecipazione di Cheula a quel Giro si raddoppiò la passione. Simoni prese la maglia rosa a Faenza, vinse al Monte Zoncolan scalato al Giro per la prima volta (dal versante di Sutrio) ed all’Alpe di Pampeago, si difese nella crono di Bolzano e controllò nella tappa di Valle Varaita parando gli attacchi sul Colle della Fauniera scalato sotto il nevischio. Il giorno della tappa la strada era invasa da centinaia di migliaia di tifosi, bandiere, striscioni e tifo per tutti. La salita poi era tutta per Cheula, tappezzata di striscioni, sculture di cartone, biciclette giganti appese alle rocce. Caro lettore, fidati, di arrivi del Giro ne ho visti a decine e decine ma quel giorno fu davvero qualcosa di raro, tutto rosa, ‘da sotto a sopra’ e davvero tanto sostegno per Cheula. La cosa peraltro provocò una piccola e anche simpatica polemica con l’opinionista di RaiSport Gigi Sgarbozza, velocista anni 60, che durante una trasmissione punzecchiò bonariamente, come da suo stile, su questo tanto tifo augurandoai supporters di giustificarlo con la vittoria in una bella classica; ovvio che non la prese bene il buon ‘Giampi’ ma i due si chiarirono presto. C’era un bel sole e salendo all’arrivo con la mia sgangherata Fiat Uno granata accreditata alla corsa (del resto ero già bello che in pista) fui esterrefatto dalla tantissima gente nei prati, dai camper, dai tifosi e dalle tante e tante tende piazzate lungo la valle. Un esodo pagano e da Ponte Formazza, dove la strada iniziava ad essere aperta solo ai mezzi tecnici ed accreditati, una fiumana di tifosi che risalivano a piedi, tanto che alla mica povera ‘Uno’ quasi fuse la frizione arrivando al traguardo fumante. Si raggiunse un numero di migliaia e migliaia di appassionati, qualcosa di forse mai più visto in una manifestazione sportiva nella nostra zona. La tappa partì da Canelli senza scossoni ma in vetta si visse un altro momento suggestivo di quel giorno, quando qualche ora prima dell’arrivo, venne inaugurato un monumento a ricordo della storica voce del ciclismo televisivo Adriano De Zan mancato nel 2001; il cippo venne scoperto alla presenza del figlio Davide, inviato di Mediaset e di tanti giornalisti come i cronisti Rai di allora Auro Bulbarelli e Davide Cassani e molti altri, compreso il mitico Fiorenzo Magni e le tante autorità locali. Da quel giorno la Cascata del Toce divenne ‘Cima De Zan’. Tornando alla tappa dopo un avvio a rilento fu diverso quel che successe negli ultimi 25 km.  Si potrebbe dire che fino a quel momento fu una tappa normale che di li a poco si sarebbe consegnata alla leggenda.  Dopo che lungo il primo tratto dolce di salita attraverso Crodo e Premia successe poco, se si eccettua un autentico delirio al passaggio di Cheula davanti a casa sua, con mamma Rosa, papà Dario, il fratello Raffaele e sua moglie Paola, debitamente intervistati nei giorni precedente da Vco Azzurra TV, sulla strada ad applaudire quasi in lacrime insieme agli amici, la corsa esplose. Col passare dei chilometri  ci provarono in molti. Gente anche di un certo livello come Gianni Faresin e Wladimir Belli. La testa della corsa è in località Canza, il gruppo della maglia rosa marcia in salita compatto. In quel momento chi era al traguardo udì un boato, un eco che solo la montagna sa regalare; riecheggiò un urlo, un fragore, come una scossa non distruttiva. L’urlo della gente si sentì davvero forte e allo stesso momento lo speaker del Giro che allora era Salvo Aiello fece capire con enfasi cosa stava succedendo: “Marco Pantani!! Ha attaccato Marco Pantani a 4.8 km dall’arrivo”. Le immagini dei maxischermi mostrano il capitano della Mercatone Uno Scanavino all’attacco. Diciamocela tutta, il passo non era quello dei giorni belli ma la suggestione si. Dietro però non mollano, sono ancora in tanti; Dario Frigo ed Eddy Mazzoleni, quando la strada inizia ad essere più ‘in piedi’ tirano e tornano sotto, si forma un gruppettino nobile; il pirata fa l’andatura, la maglia rosa di Simoni è alla sua ruota ma lui ci riprova ancora, riscatta su di un tratto in falsopiano. Riscatta ancora e di nuovo riecheggia quel boato indimenticabile. Ero nell’apposita area destinata ai giornalisti, pochi metri dopo l’arrivo in piedi, appoggiato alla transenna in attesa di un collegamento radio, al fianco del collega ed amico Marcello Perugini, vicino a me anche l’amico Beppe Conti, uno dei più importanti giornalisti di ciclismo, allora a Tuttosport: “Quanto avrebbe bisogno di vincere” disse. Si perché dei suoi problemi in molti sapevano ma lui era li davanti a far battaglia quasi forse per cacciarli via, per rivivere un momento di gloria. In vetta è un ulteriore dimostrazione di affetto e delirio. Ormai mancano tre chilometri, la parte più dura della salita. “Ce la fa, ce la fa”, sono tutti convinti. I fotografi ed i cineoperatori si preparano ad immortalare il ritorno al successo di Pantani. Il maxischermo inquadra Simoni che sale guidando il gruppo senza dare impressione di spingere: “Ma che ti frega lascialo andare”, disse guardando chi vi scrive Alessandra De Stefano, giornalista Rai sempre in zona stampa, pronta a volare in strada per le interviste post corsa, ruolo che ha saputo fare come pochi altri. Non sarà così però, quando la strada impenna di nuovo, un po’ perché l’azione del romagnolo diventa meno esplosiva, un po’perché il gruppo pian piano tornava sotto e lo riprese, la suggestione svanì. Ci provano poi un po’ tutti, Pantani si sfila leggermente, Pellizotti allunga ma Simoni lo prende e sotto le gallerie lo stacca andando a vincere: Primo Simoni, secondo Frigo, terzo Mazzoleni, Pantani arriva a 44’’ di distacco in dodicesima piazza. “Ho vinto per me stesso e basta – disse Simoni  in ‘mixed zone’ ai cronisti – mi sono ripreso quello che mi hanno portato via l’ anno scorso, sono stati proprio i corridori a rimandarmi a casa”. Anni dopo avrebbe ammesso: “Nel 99 a Campiglio ero in fuga io e lui mi riprese, la corsa prese una certa piega verso la Cascata; certo, se fosse servito a salvarlo, ad aiutarlo, se si potesse tornare indietro forse l’avrei lasciato andare. Ma sono ben consapevole che l’episodio di Cascata del Toce è una goccia irrisoria in un grande mare”. Va detto che quel giorno Simoni non si dannò nemmeno troppo per riprenderlo e solo dopo che Pantani fu ripreso si scatenò per staccare Frigo e gli altri. Gli occhi tracotanti del romagnolo visti ad Oropa nel 99 mi parvero invece in quel 2003 delusi, quasi impauriti, occhi di chi forse aveva perso una occasioni più grossa di un successo di tappa al Giro. Il giorno dopo alla partenza da Cannobio (palchi e villaggio nella piazzetta del porto) verso Cantù, passando per Oggebbio, Ghiffa, Verbania,Baveno, Stresa ed Arona, fu il campione più acclamato dalla gente perchè a dispetto delle sue disavventure era ancora amato eccome; con fatica, grazie all’amico Marco Della Vedova che fu suo compagno nel 2002, riuscii a strappargli due parole: per radio e giornale “Ci ho provato, ho provato sensazioni che mancavano da tempo – disse – peccato sia andata così, la testa c’è ma le gambe non girano come vorrei”. Quella cassetta con queste poche parole la custodisco ancora. A Cabtù vinse Giovanni Lombardi, oggi procuratore tra gli altri anche del nostro Filippo Ganna. Sarebbe cambiato qualcosa nel suo destino se avesse vinto? Chi lo sa, forse no e comunque è andata così. Il gruppo entrò in Verbania ovviamente compatto, la Saeco guidata da Beppe Martinelli in testa a custodire la maglia rosa di Gibo Simoni ma striscioni ed urla erano tutti per il Pirata che era ritornato. Da Cannobio a Verbania, lungo la litoranea il pubblico era molto, ad Intra tanta gente sulla strada e così a Pallanza, sino a Fondotoce. Verbania, anche Verbania, aveva ritrovato il Giro. Oggi la Canelli-Cascata del Toce del 2003 è consegnata all’ epica del ciclismo. Il comitato di quella tappa ebbe poi l’idea ed i fondi per realizzare a Canza un cippo celebrativo di quel giorno. “L’amministrazione di Formazza però si rifiutò motivando che nella tradizione walser i cippi funerari non erano considerati – chiosa Trapani – è un cruccio che ho ancora adesso ma ce n’è un altro, che poche volte ho raccontato; avrei voluto colorare il getto della Cascata, che ovviamente quel giorno era ‘aperto’ di rosa; oggi ci sono tante sostanza non inquinanti che permettono di farlo ma allora non fu possibile, la ma soddisfazione però fu sentire nella telecronaca Rai Auro Bulbarelli e Davide Cassani dire che quella fu la tappa più bella, con una corona di pubblico impressionante”. Terminato quel Giro Pantani scomparve letteralmente, anche perché il Tour de France lo respinse un’altra volta. Questa però è tutta un’altra storia, forse non sportiva, che portò alla sua scomparsa, iniziata ben prima di quel 2003. Quell’urlo che risalì la valle, quel terremoto di passione e quegli striscioni del giorno dopo, restano un ricordo indelebile in chi vide, per l’ultima volta, lo scatto di un eroe tormentato che solo pochi mesi dopo andò in fuga per sempre>. Da ‘Quando il Giro”, capitolo 14; “La Cascata del Toce, Cannobio ed una giornata diventata leggenda”.

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