Bruno Bacchetta. Una leggenda rossonera prima nel Milan poi nell’Omegna
Era malato da tempo. E lo sapevamo. Ma adesso che se n’é andato ci ha lasciati col magone nel petto. Lui, Bruno Bacchetta, che ai tempi belli, i tempi del Milan e poi soprattutto del Perugia, e infine dell’Omegna, non aveva paura di nessuno. E senza mai alzare la voce, ma con assoluta personalità, in campo faceva capire agli attaccanti che entravano nella “sua” area di rigore (nell’Omegna faceva il libero, arrivò ancora integro, ma quando capì che non era più il caso, lasciò a metà stagione in serie C) che non era il caso…
I milanisti lo ricordano per quel che fece il 13 febbraio del ’64, gara di ritorno dei quarti di finale di Coppa Campioni contro il Real Madrid, marcando a uomo un certo Puskas (uno che in carriera ha più gol che partite giocate). Essendo nato nell’estate del ’44, quel giorno non aveva ancora vent’anni…Ma il Milan non lo tenne, fece in tempo a vincere una Coppa Italia (‘66/67), quando tornò a Milano dopo una stagione passata al Genoa, quindi si stabilì al Perugia, dove trovò anche moglie. In quegli anni lo incontravamo d’estate, al Tennis Club Omegna. Giocargli contro era quasi impossibile: si metteva a fondo rete e prendeva tutto. Avevo qualche anno in meno, ma non bastava. Vinceva lui, spesso anche senza lasciare un game, ma sempre col sorriso sulle labbra: era di poche parole, ma erano sussurrate sempre con gentilezza. Poi, nel’71, tornò a casa, per la gioia di suo padre che non aveva mai digerito la sua partenza per Milano, ancora giovanissimo. E per 6 anni e mezzo fu rossonero “vero”. Non milanista, bensì omegnese. Giocò quasi 160 partite nell’Omegna tra serie D e serie C e, udite udite, mise a segno ben 28 gol, quasi tutti su punizione. Storica quella che a metà del secondo tempo, a Novara nel “maledetto” spareggio con la Biellese (estate ’76) portò al pareggio, poi rovinato dall’arbitro e dal duo Granai-Bercellino nei supplementari.
Bruno non parlava molto, nemmeno fuori dal campo. Ma qualche intervista l’abbiamo pur fatta, e avrò pur visto 100 suoi allenamenti e una settantina di partite (in casa tutte…). A quei tempi tra giocatori e gironalisti c’era simbiosi. Si viveva insieme anche in settimana, al Parogno. Facevamo il nostro lavoro, davamo magari anche qualche voto negativo ogni tanto al lunedì, ma c’era rispetto, e confidenza. E con lui ci siamo voluti bene. L’ultima volta che l’ho visto, due o tre anni fa, mi abbracciò e – giuro – gli scappò una lacrima, subito cancellata ritirando velocemente la mano dalla mia spalla. E adesso che te ne sei andato, spero ti sia lieve la terra, caro Bruno. E se incontri Puskas chiedigli scusa: non si tratta così una delle più grandi leggende del calcio mondiale… Roberto Cominoli
