Sono passati quarant’anni dallo scudetto più inatteso della storia del calcio italiano; il tricolore di una ‘provinciale’ per eccellenza; quello del Verona stagione 1984/85; uno scudetto che porta parecchie sfumature di bianco, cerchiato di blu, giallo e rosso; i colori del Verbania. Oddio non è certo l’unico titolo di una squadra che non fosse di una delle milanesi, di una delle due romane, del Napoli o di una torinese. Ha vinto due scudetti la Fiorentina, il mitico Cagliari di Gigi Riva nel 1970, ha vinto uno storico titolo la Sampdoria del 1991 ma sono state cose diverse; entrambe quelle squadre erano già molto competitive in precedenza; la Doria di Boskov, per esempio, aveva vinto anche in Europa l’anno prima. Il Verona no; al massimo aveva perso una finale di Coppa Italia ma anche all’inizio di quella stagione l’obiettivo era una tranquilla salvezza che è diventata trionfo. Il merito? Di un allenatore operaio, che chiamavano ‘Mago della Bovisa’ che Gianni Brera ribattezzò ‘Schopenhauer’; Osvaldo Bagnoli, ‘Zaso’ per tutti quelli che lo conoscevano e che lo hanno apprezzato con la maglia del Verbania, ancora giocatore, dalla stagione 1968/69 sino alla fine della sua carriera nel 1973. Del Bagnoli lacuale si sa tutto, arrivò sul Lago Maggiore dopo un infortunio, anche perché gli trovarono lavoro alla Legatoria del Verbano. Eppure, fu fondamentale in quei cinque dei sette anni di Serie C che a Verbania tutti ancora celebrano. Cosa ci azzecca il Verbania con lo scudetto del Verona? Beh, centra; perché il Bagnoli allenatore nacque proprio nel futuro capoluogo i n uno dei campionati di quel lustro. Stagione 1969/70 il deus ex machina dei biancocerchiato Carlo Pedroli lo convinse a diventare il vero e proprio allenatore in campo, con Franco Pedroni (mica il primo che passa, lo scopritore di Gianni Rivera) a far da mentore. Negli ultimi due anni della carriera di Bagnoli arrivarono alla guida del Verbania prima Pippo Marchioro poi Luciano Magistrelli ma Pedroli una ne sapeva e cento ne pensava; vide nell’Osvaldo il piglio del tecnico e, nonostante Bagnoli proprio non ci pensasse, lo iscrisse al corso di Coverciano dando vita a quel tecnico pragmatico, forse sottovalutato in certi momenti, maestro di un calcio che era tutt’altro che un semplice catenaccio ma sapeva essere anche spettacolare. Uomo tutto di un pezzo, finto musone ma di una grande umanità, poche battute ma taglienti, che negli allenamenti parlava il dialetto milanese. Dopo Verbania inizia ad allenare a Solbiate spinto dallo stesso Pedroli, che poi fa si che Marchioro lo prenda come suo vice a Como dove diventerà capo allenatore. Ancora gavetta a Rimini poi a Fano dove vince un campionato di C2 e poi il Cesena che porterà in Serie A. Ecco la consacrazione a Verona che prende in B e porta allo scudetto. Lo scudetto del coraggio e delle idee, lo scudetto di giocatori che i più vedevano quali scarti: come il portiere Claudio Garella (giovanissimo a Novara nella stagione 75-76) che da ‘Paperella’ alla Lazio ed alla Sampdoria divenne ‘Garellik’ e che col suo stile sgraziato in quella stagione fu su livelli forse migliori dei guardiani azzurri che allori erano Bordon, Galli, Tancredi ma anche dei giovani rampanti Zenga e Tacconi, come il poco considerato ‘dentista’ novarese Domenico Volpati e come Luciano Marangon che tra Roma e Napoli non carburò ma a Verona fu impeccabile, come Silvano Fontolan, come Pierino Fanna; maluccio alla Juventus, benissimo in gialloblù, come i gregari Bruni e Sacchetti, come Antonio Di Gennaro che da scarto della Fiorentina diverrà regista nella nazionale dell’ultimo Bearzot, come Nanu Galderisi, anche lui mai sbocciato nella Torino bianconera ma bomber di razza all’ombra dell’Arena. C’era poi il giovane Luigi Tricella e due stranieri azzeccatissimi: Hans Peter Briegel, tedescone che perse la storica finale dell’82 a Madrid contro gli azzurri e il danese Preben Elkjaer, potentissima ira di Dio: lo voleva il Real Madrid, scelse Verona, perché in quel calcio li i campioni venivano tutti in Italia. Che corsa quel Verona; nessuno se lo attendeva, domenica dopo domenica tutti si aspettavano il crollo ed invece pur perdendo in casa lo scontro diretto col Torino (ma senza mai perdere contro l’Inter di Rummenigge, il Milan degli inglesi, il Napoli dei primo Maradona italiano, la Roma di Falcao e Cerezo e la Juventus di Platini e Boniek), poi secondo, vinse un campionato passato alla storia che peraltro tra i suoi cantori aveva un giornalista che lavorata a TeleNuovo, che era un cronista di razza e che qualche idiota ha trasformato in un fenomeno da social: Germano Mosconi. No, non succederà più (un po’ come accadde al Leicester, in Inghilterra, con Ranieri) anche se pochi anni dopo il Verona, sempre di Bagnoli finirà quarto. L’Osvaldo ed i suoi pochi sorrisi (ancora oggi legato a Verona, ancora oggi ci vive) resta in gialloblù sino al 1990 quando va a Genoa, sponda rossoblù, dove porterà una squadra bellissima dapprima in Coppa Uefa e poi l’anno successivo sino alla semifinale della stessa coppa, battendo il Liverpool in casa propria e cedendo solo all’Ajax. Lo prende l’Inter, il primo anno contende lo scudetto al Milan di Fabio Capello, l’anno dopo con una squadra ‘non sua’, con acquisti non scelti (Bergkamp e Jonk), non va benissimo e viene esonerato dal presidente Ernesto Pellegrini che ancora oggi è pentito di aver fatto quella scelta e ce lo disse di persona. “Forza Bagnoli, si dimetta”, gli avrebbe detto Pellegrini nel suo ufficio, l’Osvaldo gli rispose senza paura: “Presidente, si vergogni”, girò i tacchi e se ne andò. Non allenerà più. Quel tricolore veneto però resta la sua vera e propria magia, una magia, sotto sotto, nata sul prato verde di un campo sportivo in Via Farinelli a Verbania, dove peraltro portò sia il Verona, che il Genoa che l’Inter a giocare una amichevole. Che uomo l’Osvaldo; la sua memoria ormai va a sprazi, ma la sua risposta: “Per chi mi chiama da Verbania io ci sono sempre”, che ci diede parecchi anni or sono quando lo sentimmo per un libro mai uscito resta memorabile, come il suo unico scudetto; forse il più bello del calcio italiano.